Ho incontrato Antonio Sorace a San Marino in occasione della Prima edizione di Land Art nel centro storico della città (8 aprile – 18 giugno 2017). L’occasione di intervistarlo è nata durante una mia successiva visita a La Casa degli Artisti, nella splendida cornice delle Gole del Furlo.
Angela: «Vedendo le opere che hai presentato alla Land Art di San Marino ho avuto l’impressione che fossero propriamente di carattere immanente, nel senso che hai cercato un dialogo con il fruitore dell’opera, scevro di tensione trascendente, un po’ a ‘cielo chiuso’, come a voler sottolineare che non ti interessa occuparti dell’ “altrove”.»
Antonio: «Credo di essere da questo punto di vista alquanto gramsciano: mi piacerebbe attraverso l’opera artistica ‘educare’, in quanto credo che l’arte abbia una funzione sociale e didattica.»
Angela: «Quindi Antonio qual è la Weltanschauung di fondo che intendi rappresentare con le opere che hai esposto a San Marino?»
Antonio: «La mia personale idea di libertà, filo conduttore di tutta la mia produzione artistica, nonché della mia esistenza. Una libertà esaminata da vari punti di vista. Due in particolare, La statua della Libertà e La Marianne sono una satira di una idea di libertà che ci è stata proposta. La prima, che rappresenta la statua della libertà, ha una forza estrema nel linguaggio, a mio avviso, ma di non facile lettura. Esaminiamo assieme il simbolismo dell’opera. Nella mano presenta una fiaccola, ma di fabbricazione cinese, il che ha un significato ben preciso. La statua è volutamente di colore nero, quindi vi è rappresentata una ragazza di colore, che evoca la storia dell’imperialismo e del colonialismo. Il pugno della giovane donna è rivestito da un guanto nero. Anche questo è un particolare voluto e fa riferimento alla vittoria nera alle olimpiadi del ’68 di Tommie Smith e John Carlos, che alla premiazione si mostrarono entrambi con una mano guantata di nero come simbolo di protesta. La statua presenta inoltre una copertura delle parti intime, indicatrice di un discorso sulla libertà delle donne e sulla violenza. Ma l’aspetto dell’opera che mi premeva di più rappresentare è che è affogata in un blocco di cemento, il sistema adottato dalla mafia per far sparire le persone non gradite. Quindi anche quest’ultimo è un aspetto di una libertà tanto propagandata da questa statua che accoglie tutti, ma che a ben vedere non ha avuto, e non ha, un riscontro oggettivo nella realtà storica. La seconda opera, La Marianne, è simbolo della libertà, icona della Rivoluzione francese. La Marianne è stata sempre raffigurata come una donna che tiene in mano una grande bandiera. Quindi la bandiera francese come contenuto di libertà che ha in sé valore universale. La mia Marianne presenta delle variazioni rispetto all’icona tradizionale. Nella mano stringe una piccola bandiera. Qui ho volutamente fare un’ironia un po’ goliardica, se vogliamo, in quanto l’asta della bandiera è fatta con due penne Bic, una posta sull’altra, e in italiano risuona come Le Pen, che vuole ironizzare sull’idea di libertà oggi rappresentata in Francia da un partito di estrema destra. Un’altra opera è ricavata da un unico tronco, di pioppo, e vi sono rappresentate tre figure ibride. E’ intitolata Figli dello stesso padre. Naturalmente per stesso padre s’intende l’albero da cui è stata ricavata, la materia da cui è emersa la forma. Le figure sono colorate, quindi anche qui riemerge con forza il tema della libertà contro il razzismo: ciascun individuo si costituisce primariamente e imprescindibilmente come persona al di là del colore della pelle. L’ultima opera che tratteggerò, è collocata al di sotto del Museo della tortura, ed è intitolata Libera. Figura femminile estremamente esile e slanciata, con le braccia sollevate e gonna in acciaio. La cinghia sulla vita evoca la cintura di castità, ed è quindi ancora una volta una diversa declinazione del concetto di libertà. In questo caso, libertà dei costumi e di espressione, anche attraverso il modo di vestire delle donne. Oggi, a mio avviso, non abbiamo più bisogno di cinture di castità, ma di ‘cinture di cultura e di bellezza’.»
Angela: « Mi sembra di capire dal tuo discorso che il femminile è un tema che ti sta a cuore.»
Antonio: «Sì, io ho vissuto con grande passione il Sessantotto e ho sostenuto attivamente il movimento femminista, perché era comunque un modo per contrastare il potere. Oggi mi rendo conto, però, che lo spirito rivoluzionario originario è stato un po’ tradito: più che di liberazione dal potere maschile, parlerei di emulazione del potere maschile.»
Angela: «Come realizzi le tue opere, Antonio?»
Antonio: «In questo momento sto utilizzando il legno che lavoro con una tecnica molto veloce, utilizzando la motosega. È una tecnica che mi coinvolge interamente in un impegno fisico che mi dà soddisfazione.»
Angela: «Cos’è un’opera d’arte per te?»
Antonio: «Un’opera è essenzialmente una forma di linguaggio, come del resto scrivere, dipingere, comporre musica. L’opera d’arte è espressione dell’artista. Quando faccio arte per me è come fare una seduta psicanalitica in cui, al contempo, sono terapeuta e paziente. Cerco dunque il dialogo con me stesso, oltre che con il fruitore. Nell’arte canalizzo la tensione ideale che ha sempre caratterizzato la mia vita. Da giovane, con il movimento del Sessantotto, oggi con l’arte.»
Angela: «Nella tua vita ti sei sempre dedicato alla scultura?»
Antonio: «Nella mia vita ho fatto mille lavori, ma non amo definirmi né artista né scultore. Semplicemente faccio sculture per me stesso, ma anche per comunicare con l’altro, come adesso sto facendo qui con te.»
Angela: «Ti ritrovi di più nell’idea di Cartesio, “penso, dunque sono”, o di Camus, “mi rivolto, dunque sono”, o ancora in quella di Buber, “mi relaziono col tu, dunque sono”?»
Antonio: «Direi fondamentalmente: ‘vivo, dunque sono’, e vivo di casualità. Tutto è casuale: la famiglia d’origine, il contesto socio-culturale, gli incontri, gli eventi, tutto.»
Angela: «E la scelta, allora, che ruolo gioca?»
Antonio: «La scelta può essere solo teorica. Nella prassi le cose sono diverse. Io gioco a biliardo, che è una metafora assoluta della vita, perché non solo bisogna vincere, ma bisogna anche evitare che vincano gli altri. È un gioco estremamente preciso, e la precisione intellettuale è necessaria nella vita così come nell’arte.»
Angela: «In che senso?»
Antonio: «Nel senso che se non sei preciso e attento nella realizzazione di un’opera, puoi commettere degli errori.»
Angela: «Quindi se è un errore, non siamo più davanti al caso?»
Antonio: «No, qui siamo davanti a una scelta mia sbagliata e quindi a un errore. La causa è una mancanza di attenzione.»
Angela: «La Casa degli Artisti che fase della tua vita rappresenta?»
Antonio: «Posso dire che sicuramente non è un punto di arrivo. Quando nel 2003 ho acquistato questa casa, pensavo di creare un luogo di ritrovo per artisti con cui condividere esperienze. In questa casa mi esercito nella cura dell’architettura, della cucina, dell’ospitalità, della relazione in generale, e faccio tutto questo con grande piacere, perché per me la vita è fondamentalmente piacere.»
Angela: «La vita è bella?»
Antonio: «La vita è bellissima, anche quando si manifesta con situazioni difficili da affrontare, ma poi tutto passa, è solo un momento passeggero. E soprattutto, l’indicazione che voglio dare, è di non mollare mai, esercitando con tutto te stesso la volontà e la forza interiore. L’ultimo pensiero che vorrei lasciarvi è di vivere intensamente, nel senso di essere incisivi, ma con leggerezza.»